Diplomazia zen: la via giapponese a Trump
Il Giappone si muove sul filo. Da un lato ci sono i nuovi dazzi del 25% annunciati da Donald Trump su una vasta gamma di prodotti provenienti proprio da Tokyo che dovrebbero partire il prossimo primo agosto e dall’altro lato ci sono c’è una crisi interna a tutti gli effetti in Giappone, una crisi interna fatta di inflazione, fatta di tensioni agricole, di prezzo eh del riso eh alle stelle, il tutto mentre si avvicina una campagna, anzi siamo nel pieno di una campagna elettorale rovente perché il prossimo 20 luglio si vota per la Camera Alta, un argomento di cui parleremo abbondantemente nel corso di questa diretta. Il governo in Shiba è stretto a tutti gli effetti tra le pressioni americane, appunto, e il rischio però di perdere dei consensi in patria e quindi, almeno al momento, tenta un po’ la linea dell’equilibrio. Un accordo con gli Stati Uniti dice sì, assolutamente, ma senza sacrificare l’interesse nazionale. Tanto i mercati finanziari di tutto il mondo restano ovviamente a guardare perché lo yen continua ad essere uno snodo chiave per la finanza globale, ma ovviamente l’impennata dei prezzi rischia a tutti gli effetti di far deragliare il carry Trade. Oggi parliamo di tutto questo qui a Macro e ne parliamo con Guido Alberto Casanova, ricercatore dell’Osservatorio Asia dell’ISPI. Benvenuto qui da Alberto. Grazie per l’invito. E in collegamento abbiamo il nostro Marco Masciaga, corrispondente del Sole 24 ore con base a Nuova Deli. Ciao Marco. Ciao. Buongiorno. Allora, Guido Alberto, parto da te perché, dicevamo, appunto, il primo agosto si avvicina e con lui la minaccia concreta di nuovi dazzi da parte degli Stati Uniti nei confronti eh del Giappone, dazzi del 25%. ed è in qualche modo, come lo hanno definito in molti analisti, un dejav che riporta un po’ alla luce vecchie frizioni, no? Secondo te, quanto questa nuova ondata di protezionismo da parte appunto degli Stati Uniti è una strategia rivolta specificamente a Tokyo e quanto invece è un’arma di pressione indiretta nei confronti della Cina? Certamente la politica di Trump verso di Tokyo non è la politica di Trump verso la Cina, quindi bisogna fare decisamente un distinguo. Ehm, i dazzi annunciati da Trump nei confronti del Giappone sono alti, ma non sono certamente i dazzi che vengono imposti a Pechino. Ricordiamo solo un paio di mesi fa eh si parlava addirittura di 125-150% i dazzi. Adesso per il Giappone stiamo parlando di un più modesto 25% che comunque potrebbe essere un un danno molto grave per per l’economia giapponese. Quindi questo è un primo distinguo da fare. Dall’altro lato però bisogna anche tenere presente che la politica di Trump in questo momento sta mettendo ovviamente la Cina al centro delle proprie considerazioni strategiche, quindi dobbiamo pensare la politica statunitense anche verso il Giappone in funzione da un certo punto di vista anticinese. Qual è la vera differenza però tra Trump e il suo predecessore Biden? Biden, che aveva comunque come priorità strategica il contenimento cinese, puntava a farlo in coro con una con, diciamo, con il consenso e il sostegno dei propri alleati storici in Asia e in Europa. Trump invece lo conosciamo anche per il suo slogan ehm America first, che spesso però diventa anche un America alone ehm perché eh Trump negli ultimi eh mesi da cui è entrato in carica ci ha mostrato una sua predisposizione a voler sfruttare gli alleati che spesso sono considerati alla pari di alla stregua di dei rivali, se pensiamo a tutta la retorica, sull’aver sfruttato il mercato statunitense, quindi c’è una una linea dura sia contro l’economia giapponese che contro quella cinese. Ecco, Trump con la sua politica dell’America first sta provando in qualche modo a a ricattare eh il Giappone per portarlo a investire, a ricostruire capacità industriali negli Stati Uniti. Una capacità industriale che gli Stati Uniti credono essere stata minata dal libero commercio. Però questa è una solo una parte della storia, perché se poi andiamo a vedere nei dati, andiamo a vedere che il Giappone, ad esempio, è il primo paese straniero per investimenti diretti esteri negli Stati Uniti. Quindi, ehm, è una è un quadro confuso, onestamente, è anche difficile da capire, ma certo la politica di Trump non bersaglia Tokyo semplicemente, ma la bersaglia in un in un ambito un po’ più un po’ più ampio. Molto chiaro, Marco. Marco Masciaga, vengo da te perché ehm la borsa giapponese in realtà l’indomani appunto dell’annuncio di nuovi dazzi eh da parte di Trump non ha reagito malissimo. Oggi vediamo che il Nickei effettivamente ha ceduto i guadagni iniziali chiudendo al ribasso, però in realtà all’indomani appunto di questo annuncio in realtà era salito e questo perché? Perché i mercati sembrerebbero credere che Trump in qualche modo si tirerà indietro, ecco, all’ultimo minuto, no? Cioè il famoso effetto taco, no, di cui tu spesso parli sul Sole 24 ore. Secondo te effettivamente possiamo parlare ancora di effetto taco oppure i mercati stanno sottovalutando in qualche modo il rischio che i dazzi vengano veramente applicati? Secondo me è un mix di effetto taco ed effetto voto. Mi spiego. Effetto tacco perché noi abbiamo visto la reazione che hanno avuto i mercati non soltanto in Giappone dopo l’annuncio de le cosiddette tariffe reciproche che poi reciproche non sono dello scorso 2 aprile, quelle annunciate con tanto di cartello nel giardino delle rose della Casa Bianca. Eh, in quell’occasione i mercati eh sono crollati, sono crollati anche in Giappone e poi lentamente sono risaliti quando si è capito che eh la pressione sui titoli di stato americano americani avrebbe costretto la Casa Bianca a fare marcia indietro, cosa che puntualmente è successa con la proroga fino al 9 di al 9 di luglio e i mercati sono tornati sostanzialmente dov’erano prima di quell’episodio. Questa volta c’è stata una nuovo annuncio di dazzi, 25% nel caso del Giappone che addirittura un 1% in più rispetto al 24% annunciato il 2 aprile nel giorno dei dazzi reciproci e la reazione è stata tutto sommato tranquilla, nel senso che come dicevi tu il Nike ha guadagnato qualcosa, Toyota addirittura ha guadagnato più dell’indice eh generale e quindi c’è stata una sostanziale scrollata di spalle. effetto taco, nel senso che probabilmente si aspettano che non saranno al 25% i dazzi. Eh, secondo me gli operatori stanno puntando su una cifra eh più bassa e un po’ più gestibile che comunque sarà alta per gli standard a cui siamo stati abituati fino adesso, ma non sarà probabilmente un 25%, si continua a trattare. Eh, il capo negoziatore giapponese è stato sette volte negli Stati Uniti e ci tornerà quasi sicuramente un’ottava. Eh, è una trattativa molto complessa e molto dura e poi ci sarà anche un po’ forse di effetto voto, nel senso che come dicevi tu introducendo questa chiacchierata, il 20, cioè non questa domenica, ma quella successiva, si vota eh in Giappone si vota per cambiare metà della Camera alta e il governo è già un governo di minoranza nella camera bassa, non può permettersi di andare male o non troppo male. E quindi la mia sensazione che dopo il 20 di luglio, quindi ci saranno ancora una decina di giorni e qualcosa di più di lì alla deadline del primo agosto, i negoziatori giapponesi avranno qualche margine in più per non avere delle ricadute troppo pesanti a livello elettorale per colpa dei cedimenti che necessariamente dovranno fare, dovranno e che ci saranno nei confronti dei negoziatori americani. Guido Alberto, effettivamente queste elezioni del prossimo 20 luglio sono un po’ anche un modo per testare la tenuta del governo ishiba. Secondo te stanno condizionando molto la postura, no, del Giappone rispetto agli Stati Uniti e secondo te il Shiba può permettersi e quanto può permettersi, no, di negoziare prima di queste elezioni? Eh, certamente un ambiente di campagna elettorale, un ambiente eh sconveniente per ehm raggiungere un accordo che possa compromettere alcuni eh degli dei settori economici più importanti al Giappone. Ricordiamo che in questo momento il Giappone è sottoposto soprattutto a due tipi di sanzioni, ci sono quelle reciproche eh che menzionava Marco prima, ma poi ci sono anche le eh scusate i dazzi, non le sanzioni. Ci sono anche i dazzi specifici sul settore delle auto e quello delle auto in realtà è un è un discorso un po’ particolare quando si parla del Giappone perché circa un terzo dei 140 miliardi circa di export giapponese verso gli Stati Uniti è composto esclusivamente da auto, Toyota, Nissan e tutte le altre, eh che rappresentano un nocciolo duro e imprescindibile dell’economia giapponese. Quindi cedere sui dazzi vorrebbe dire mettere in difficoltà un settore estremamente importante, estremamente vitale e non solo per l’economia, ma anche ovviamente per l’impiego in Giappone. Quindi la, diciamo, il massimalismo con cui il governo Shiba ha affrontato le le negoziazioni negli ultimi negli ultimi due mesi e mezzo è dovuto in parte anche a a queste considerazioni qui. Ehm da questo punto di vista, quindi, io penso che sia eh difficile eh raggiungere un accordo dopo anche dopo le elezioni eh proprio per questo per questo motivo qui. E poi c’è un secondo ordine di motivi che mi porta a pensare che comunque il margine per un accordo sia ristretto anche dopo eh le la scadenza elettorale e cioè che il Giappone da 1520 anni a questa parte eh ha fatto propria nel nella visione del mondo il libero commercio che il protezionismo di Trump sta praticamente smontando pezzo dopo pezzo e quindi non è infrequente ormai sentire il Giappone parlare dell’importanza di sostenere il libero commercio in tutte le sedi. Ieri, se non sbaglio, c’è stato questo consesso dell’Asan, dei paesi del sudest asiatico, in cui il rappresentante giapponese ha ricordato l’importanza di avere un commercio libero tra le tra le nazioni e quindi è chiaro che anche nel proprio approccio negoziale, dal mio punto di vista, credo che il Giappone stia provando a fare a a segnare una linea implicita a che sia riconoscibile anche da altri paesi, come dire, eh con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono il nostro principale alleato. Da questo punto, da in questo momento con l’amministrazione Trump ci sono delle dei problemi dal punto di vista dei rapporti economici, però esiste una linea rossa che noi non vorremmo venisse superata e quindi ehm silenziosamente stanno provando a cercare di implementarla questa linea rossa e quindi a far eh ricredere Trump almeno su una parte di quei dazzi che sono stati imposti dal 20 gennaio. Sì, i dat sono stati posti al 20 gennaio ad oggi. Chiarissimo, Marco, vengo da te. Eh, giustamente Guido Alberto faceva riferimento alle grandi case automobilistiche. Ti chiedo, secondo te, questi, diciamo, il settore eh automotive giapponese potrebbe essere in grado di assorbire il colpo dei dei dazzi da parte degli Stati Uniti? Beh, assorbirlo integralmente direi di no, nel senso che, come spiegava Guido Alberto, è una parte decisiva delle esportazioni verso gli Stati Uniti, l’automotive giapponese. È anche vero che, come si diceva prima, eh il Giappone non è solo un forte esportatore, ma è stato negli anni un fortissimo investitore negli Stati Uniti. I loro policy maker ci tengono spesso a sottolineare questo aspetto. Quello che stiamo notando in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi, sono degli aggiustamenti, nel senso che se noi prendiamo, per esempio, il dato del mese di maggio noi abbiamo registrato una flessione del 24,7% del 25% all’incirca delle esportazioni verso gli Stati Uniti in valore. Eh la flessione, se noi guardiamo invece i volumi, è stata inferiore al 4%. Quindi c’è un grosso delta. Questo grosso delta cosa ci dice? Sono dati che si riferiscono al mese di maggio, quindi erano già attive le le tariffe sul settore dell’auto. ci dice sostanzialmente che prima ipotesi potrebbe esserci eh una maggiore capacità di vendere magari allestimenti meno ricchi, automobili un po’ meno costose, ma soprattutto ci dice che una parte dei produttori giapponesi e degli esportatori giapponesi stanno inghiottendo una parte dei dazzi decisi dagli Stati Uniti, sostanzialmente rinunciando a una parte dei propri utili e vendendo ai propri importatori. negli Stati Uniti auto ad un prezzo più basso. Questo non vuol dire che il prezzo delle auto giapponesi di importazione resterà fermo negli Stati Uniti perché ci sono già stati degli aumenti. ci sono stati aumenti sia per Subaru sia per Toyota che è il principale, eh però diciamo che una parte consistente è stata riassorbita dai produttori e poi stiamo vedendo anche altre cose, cioè addirittura in Giappone c’è chi ipotizza per Toyota di importare in Giappone le auto prodotte da Toyota negli Stati Uniti per cercare di ridimensionare eh la bilancia commerciale con gli Stati Uniti che è il grande cruccio dell’amministrazione Trump e della metrica che incredibilmente è stata utilizzata per calcolare queste tariffe reciproche. Un’altra cosa che è uscita oggi su Nike è che ci sono due case automobilistiche, Nissan e Honda, che fino a pochi mesi fa stavano trattando una fusione che avrebbe creato il terzo gruppo mondiale dell’automotive, starebbero pensando a utilizzare una parte della capacità produttiva di Nissan negli Stati Uniti. capacità produttiva che in questo momento non viene utilizzata perché Nissan è in profondissima crisi e vende molte meno auto di quanto possa potenzialmente produrne nei suoi impianti americani e utilizzare una parte di quella capacità produttiva per produrre localmente onda che al momento non è ancora in grado di ampliare le proprie linee di produzione degli Stati Uniti e quindi produrre più auto che non siano vessate dai dazzi americani. Quindi diciamo che è un problema decisamente grande e si sta cercando attraverso tecniche e strategie anche non molto ortodosse di cercare di attutire l’impatto di queste tariffe. E se posso aggiungere ehm è molto importante il punto che menzionava Marco sulla produzione negli Stati Uniti, eh perché ci tengo a ricordare che, ad esempio, oggi il Giappone esporta verso gli Stati Uniti 1. 300.000 auto, più o meno, mentre le case automobilistiche giapponesi già producono negli Stati Uniti più di 3 milioni di auto, quindi tre volte eh quasi tre volte una una cifra tale. Eh Certo, ovviamente il il punto è anche e cioè Trump ha spesso menzionato questo problema della mancanza di importazioni giapponesi di auto prodotte negli Stati Uniti. Esiste però anche un problema di di gusto perché fondamentalmente le auto che vengono prodotte per il mercato americano spesso non vendono sul mercato giapponese, che è già oggi un mercato che ha praticamente per le auto dazzi quasi pari quasi allo zero. Quindi ci sono esistono una sorta di ehm eh di limitazioni alle alle vendite di auto eh prodotte anche da marchi giapponesi negli Stati Uniti eh in Giappone che sono obiettivamente non non facilmente risolvibili dall’oggi al domani come invece forse vorrebbe Trump per ridurre il deficit. Assolutamente. Un altro aggiungere una cosa? Certo. Prego. Aggiungo una cosa sulle criticità dell’esport nella direzione opposta, come diceva eh giustalmente eh Casanova, eh c’è un problema a esportare in Giappone autoprodotto in America e di marchi americani, innanzitutto perché in Giappone le strade sono molto più strette che in America e quindi un sacco di autoprodotte negli Stati Uniti non sono adatte a quel mercato lì. Poi in America la maggior parte eh degli incidenti, dei feriti e dei morti stradali sono persone a bordo delle auto. In Giappone la maggior parte delle vittime degli incidenti sono pedoni. Questa è una differenza sostanziale perché ha fatto sì che negli anni, negli Stati Uniti, si puntasse molto sulla sicurezza di chi viaggia a bordo delle automobili e poco sulla sicurezza dei pedoni, laddove le regole vigenti in Giappone danno più importanza alla sicurezza dei pedoni che non alla sicurezza di chi sta guidando le automobili. Per esempio, in Giappone non puoi esportare una macchina che non abbia un sistema frenante automatico se c’è un ostacolo davanti a te. Eh, pare che sia legato al fatto che c’è una parte non piccola di popolazione anziana che guida e che in passato è stata protagonista di una serie di incidenti e legati al fatto di non avere visto aver visto troppo tardi un pedone. Questo tipo di dispositivo non è obbligatorio negli Stati Uniti e quindi per esportare una macchina made in USA con caratteristiche made in USA in Giappone, oltre a una questione di gusto, ci sono anche delle questioni tecniche non indifferenti che vanno affrontata per renderla vendibile in Giappone. Chiarissimo, Guido Alberto. Peraltro, oltre alle auto, un altro tema, no, di questa cherela è sicuramente il riso, perché c’è Donald Trump che chiede l’apertura, no, del mercato agricolo giapponese. Per il Giappone sappiamo che il riso è un tema quasi sacro, no, a tutti gli Non è solamente letteralmente letteralmente, ecco, quindi non è solamente una questione economica, diciamo, in senso stretto. E, peraltro il riso è anche un motore dell’inflazione giapponese. leggevo che a maggio si parla di un più 101% rispetto all’anno all’anno precedente. Ecco che ruolo gioca quindi il riso in questo in questo macro tema anche geopolitico? Il riso, come dicevi tu, ha una valenza simbolica, anche perché ha un una rilevanza nello scintoismo, la religione più diffusa in Giappone. Però è chiaro che il protezionismo giapponese riguarda il riso non non riguarda i simboli, ma riguarda, diciamo, più la sostanza in questo momento, come dicevi giustamente, ehm l’inflazione per quanto riguarda i prodotti agricoli, in particolare del riso, che negli ultimi anni ha avuto raccolti piuttosto pessimi, eh ha prodotto una situazione che negli ultimi mesi è esplosa con i i prezzi che sono raddoppiati. Questo è un problema perché negli ultimi anni, dal 2022 in poi più o meno, i cittadini giapponesi sono eh hanno vissuto una situazione praticamente sconosciuta nell’ultimo decennio c’è quello dell’inflazione. Giappone è un paese che per anni, per decenni ha avuto il problema del dello stagnamentello del ristagno dei prezzi e di colpo nel 2022 in poi per colpa dei dello del salutamento dello yen e delle delle importazioni di di di energia, diciamo che di colpo la popolazione si è ritrovata ad avere a che fare con questa situazione. Il riso ovviamente è lo è lo staple food giapponese e questo si va a inserire in una situazione già precaria. Quindi da un lato giustamente Donald Trump dice “Ma perché se hanno un problema di riso non importano il nostro?” Certo. La risposta in realtà è duplice, c’è un problema politico e un problema pratico. Il problema politico è che ehm in Giappone il blocco agrario è un blocco di elettori fortemente a favori del Partito Liberal Democratico, che è il partito di governo che è tradizionalmente molto forte nelle aree rurali. aree rurali che nel momento elettorale in cui ci troviamo adesso per un problema, diciamo, della legge elettorale sono praticamente sovrarappresentate elettoralmente. Quindi se per esempio per eleggere un elettore a Tokyo che è probabilmente o a Nagoya o a Iroshi nelle grandi città che sono probabilmente le gli elettori che più sentono il problema del dell’inflazione, se per reggere un lettore in queste circoscrizioni ci vogliono magari 200.000 voti, in una circoscrizione rurale ce ne vogliono 100.000 E quindi il partito di governo ha tutto l’interesse a fare da un certo punto di vista l’interesse dell’elettore rurale che è legato agli alle ai alle rendite, no, alle rendite alle vendite eh del riso e quindi agli altri prezzi eh del riso. Dall’altro, ovviamente, però c’è anche un problema eh pratico, come accennavo prima, e cioè che oggi il Giappone più o meno consuma eh 7 8,2 eh milioni di tonnellate di riso eh annualmente e solo 300.000 di queste tonnellate sono importate a prezzi correnti. Se il Giappone dovesse importare riso per sanare il proprio deficit, dovrebbe importare quasi 190 volte la quantità di riso che oggi importa, che è un numero obiettivamente impensabile e quindi esiste eh un problema pratico nell’utilizzare il riso come risorsa per colmare questo deficit commerciale. Chiarissimo, Marco, torno da te. Eh, allora ci sono, ho letto dei dati, delle stime secondo cui qualora i dazzi annunciati da Trump si concretizzassero, il Giappone potrebbe perdere addirittura fino all’1,9% del PIL entro il 202. Ti chiedo, allora, noti già dei segnali di rallentamento industriale o comunque di taglio agli investimenti? Cioè, questo rischio è già in qualche modo realtà. Allora, c’è stato qualche segnale in questo senso. Pochi giorni fa sono usciti i dati sulla produzione industriale eh di maggio che davano un + 0,5% contro aspettative che erano molto più alte del 3,5%. E ci sono stime per quanto riguarda il mese di giugno di un incremento ridotto allo 0,2% e per quanto riguarda il mese di luglio addirittura una contrazione dello 0,7%. Eh quindi dei segnali inevitabilmente ci sono in questo senso. Eh sul fronte degli investimenti è più difficile dirlo. Pochi giorni fa c’è stata la firma di un accordo, per esempio, con il Regno Unito per facilitare gli investimenti eh britannici in Giappone e viceversa. Eh, noi parliamo molto del settore dell’auto perché è molto grande, però il Giappone quella giapponese è un’economia complessa, è un paese ricco di 120 milioni di abitanti e quindi che non vive soltanto di automobili e quindi eh Shiba e Starmer stanno cercando di facilitare i canali per spostare investimenti da per i due paesi e in settori che sono anche diversi come la transizione digitale, eh il biotecch o anche i servizi, per esempio, servizi legali, servizi per i professionisti e le imprese, eh servizi studi di architettura, per esempio. Quindi c’è un tentativo di apertura da questo punto di vista che si iscrive, secondo me, in un in un in un meccanismo che abbiamo visto in questi mesi, nel senso che con l’alzarsi delle barriere tariffarie verso gli Stati Uniti, abbiamo visto una serie di altri paesi cercare di abbassare le barriere tarifarie e non che impedivano il flusso di investimenti e di merci. eh tra di loro per cercare di sostanzialmente di attutire il colpo. Quindi se vogliessimo a tutti i costi eh cercare di scorgere un silver lining in questa nuvola nera dei dei dazzi, delle tariffe americane, potrebbe essere proprio quella della maggiore cooperazione tra i paesi presi di mira tra gli Stati Uniti, che era in parte un po’ quello che a cui accennavamo prima. Guida Alberto, stiamo mancano mancano pochi minuti alla fine. Vorrei fare un focus con te sullo y perché lo yen continua a essere ovviamente sotto osservazione e continua a essere un po’ uno dei cardini, no, della finanza globale. Però quello che ti chiedo è che ruolo gioca ovviamente in questa eh partita e soprattutto quanto il Giappone può ancora giocare, tra virgolette sulla sua svalutazione come leva competitiva. Ah, per fortuna eh lo yen non è entrato nelle discussioni tra Giappone e Stati Uniti eh riguardo appunto la possibilità di trovare un accordo commerciale. Le due parti, Bessent per gli Stati Uniti e Akazawa per il Giappone, i due capi della negoziazione sono stati d’accordo nel constatare che il tasso di cambio tra dollaro o yen rispecchia i i fondamentali della macroeconomia dei dei due paesi e quindi è stato tenuto ehm a parte è stato tenuto a parte per fortuna, eh perché avrebbe aperto tutto un vaso di Pandora che obiettivamente nessuno dei due paesi vorrebbe vorrebbe aprire. È chiaro che il Giappone dal 2021-22 ha subito una svalutazione monetaria importante. Ricordiamoci appunto era fino a poco tempo fa lambiva i 170 eh yen per dollaro. Adesso mi sembra che sia un po’ calato. Stiamo comunque parlando di un livello piuttosto alto rispetto anche solo a 45 anni fa dove era più sul si assestava sul 120 100$30. Eh, c’è ovviamente un problema di politica interna però qui, perché stiamo parlando di un paese che non ha ancora normalizzato i tassi di interessi. La Banca Centrale del Giappone eh da un paio di anni ha rialzato eh i tassi, ma lo sta facendo in modo molto prudente e molto cauta. È uscita dal territorio negativo eh mi sembra eh solo l’anno scorso e eh quest’anno, complici anche i dazzi di Trump. Ehm ehm il capo della Banca centrale giapponese sta mettendo eh le mani avanti dicendo “Aspettiamo, vediamo come va” e poi eventualmente decideremo un ulteriore rialzo. il fatto che oggi il tasso di interesse praticato dalla dalla Banca Centrale è dello 0,5%, quindi esiste un delta notevole rispetto ad altri paesi e il e il diciamo il forte tass la forte svalutazione dello yen è dovuta particolarmente anche questo facevo riferimento al carry trade che fa in qualche modo comodo un po’ a tutti perché eh permette a uno yen molto salutato permette alla Finanza internazionale di potersi ehm di poter comprare dei titoli in Giappone, poter comprare i prodotti finanziari a un prezzo veramente basso e godere appunto di tassi di restazione molto molto bassi. Eh, dall’altra parte il Giappone ha deciso di non toccare un altro argomento eh spinoso per gli Stati Uniti, come ad esempio i boni del tesoro. Eh e dico appunto per fortuna che non sono le discussioni immunitarie e finanziarie non sono entrate in questo nella discussione tra eh eh per per ridurre il deficit commerciale perché avrebbe aperto un vaso di Pandora che effettivamente nessuno dei due paesi vuole che che si apra in questo momento. Marco, sei d’accordo? Sarebbe un po’ effettivamente un vaso di Pandora, no? aprire questo questo argomento. Sì, decisamente mi sembra che di questioni spinose sul tavolo tra automobilio, ce ne siano già a sufficienza. Sì, sì, decisamente. Oddio, potrebbe succedere di tutto perché se non arrivasse un accordo potrebbe anche arrivare unescalation. Questo però non non è molto auspicabile. Speriamo che che riescano a trovare un accordo al ribasso rispetto alle cifre di cui si sta parlando adesso, senza innescare dei meccanismi di di di ancora peggiori dal punto di vista, appunto, del sia valutario eh che delle che delito pubblico americano. Certo. E allora io ringrazio Marco Masciaga per essere stato con noi. Ovviamente Guido Alberto Casanova e Macro come sempre torna venerdì prossimo. Grazie a voi per averci seguito. Buon proseguimento di giornata. M.
In un momento cruciale per la politica giapponese e per gli equilibri commerciali globali, Tokyo si trova stretta tra le minacce tariffarie di Washington – che ha annunciato nuovi dazi al 25% a partire dal 1° agosto – l’inflazione interna e un delicato gioco di equilibrio tra economia, agricoltura e difesa. Con le elezioni dietro l’angolo (il 20 luglio i giapponesi saranno chiamati a scegliere metà dei parlamentari che siedono nella Camera alta della Dieta) e i prezzi del riso alle stelle, il governo nipponico deve decidere quanto cedere agli Stati Uniti senza perdere consensi interni. Al momento, il primo ministro Shigeru Ishiba si dice intenzionato a cercare un accordo con gli Usa «che porti benefici a entrambi i Paesi, tutelando allo stesso tempo l’interesse nazionale del Giappone». Nel frattempo, i mercati internazionali osservano con attenzione: lo yen resta al centro del carry trade globale, ma l’impennata dei prezzi rischia di far saltare i meccanismi finanziari tradizionali. Ne discutono a “Macro” Guido Alberto Casanova, ricercatore dell’Osservatorio Asia di ISPI, e Marco Masciaga, corrispondente dall’Asia del Sud del Sole 24 Ore con base a New Delhi.
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